Le “Nuove Dipendenze” (o new addictions) comprendono tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non è implicato l’uso di alcuna sostanza chimica. L’oggetto della dipendenza è un comportamento o un’attività lecita o socialmente accettata come lavorare, fare acquisti, navigare su internet, giocare…
Negli ultimi anni si è assistito ad un’enorme diffusione di queste dipendenze comportamentali, tanto da suscitare l’interesse della letteratura scientifica e richiedere la disponibilità di metodi di cura e terapia efficaci. Si tratta di forme di dipendenza che rispecchiano la società tecnologica dei new media, dove la tecnologia dà l’impressione di amplificare le proprie qualità sensoriali, mentali e di immaginazione, costruendo un universo virtuale parallelo in cui vengono sperimentate nuove forme di comunicazione e relazione, che possono occultare a volte disagi personali profondi. Il soggetto viene completamente assorbito dall’oggetto della propria dipendenza, arrivando a trascurare relazioni affettive, sociali, lavoro, studio, progetti di vita.
La dipendenza non è un vizio, né una malattia, ma è un processo che si innesca quando una persona, nel contatto con un particolare oggetto o nella reiterazione di un determinato comportamento, si sperimenta in maniera diversa e legge tale ristrutturazione del sé come positiva e più funzionale.
Dipendenza da Internet e ritiro sociale sono spesso interconnessi e si sostengono reciprocamente. Dove sorge la dipendenza, aumenta il ritiro sociale. Dove c’è il ritiro sociale, aumenta l’uso della rete come valvola di sfogo.
Il nuovo fenomeno giapponese degli “Hikikomori” è l’emblema dell’uso distorto di internet: da utile strumento di comunicazione, di lavoro, svago e socializzazione, in artefice di un mondo parallelo e alternativo a quello reale, che porta verso la chiusura nei confronti del mondo esterno, amplificando i disagi relazionali e personali del soggetto.
Hikikomori in giapponese significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”: con questo termine i giapponesi indicano coloro che si ritirano dalla vita sociale e in particolare, il Ministero della Salute giapponese definisce hikikomori coloro che si rifiutano di lasciare le proprie abitazioni per un periodo che supera i sei mesi.
Da cosa scappano i ragazzi? Mentre in Giappone fuggono da regole troppo severe, i ragazzi italiani scappano dall’incapacità di gestire relazioni di gruppo. Il risultato però è uguale: si chiudono in una stanza e sostituiscono la vita reale con quella virtuale. Ma Internet e i giochi di ruolo sono solo una conseguenza, non una causa.
L’autoreclusione parte dalla scuola, vissuta spesso come un allontanamento forzato dal mondo del Web. Suonata la campanella, non c’è altra attività che il ritiro in camera davanti a uno schermo. Di solito l’abbandono scolastico avviene nel biennio delle superiori, ma negli ultimi tempi viene anticipato anche alle medie. Si comincia con mal di pancia e mal di testa, per poi scoprire che sono solo sintomi fisici per sfuggire da un ambiente scolastico vissuto come un incubo.
Questa fuga dal mondo conduce i ragazzi ad “ammazzare” il tempo con internet, con i videogiochi, con la tv e con la musica. Tale espatrio volontario è connesso alla fruizione delle nuove tecnologie: questi giovani si allontanano dalle relazioni reali per abbracciare quelle virtuali e il cyberspazio prende il posto della vita. L’adolescente finisce con il rimanere intrappolato in quella rete dove l’unica via possibile è vivere in una sorta di alienazione tecnologica. Anche il corpo si imprigiona, non è più rivolto al mondo esterno, ma suggellato dentro i propri confini, implacabili e ghiacciati. Non c’è più nessuno con cui parlare o a cui rivolgere un gesto, un contatto diretto. L’individuo non vuole perdere la propria stanza segreta e rinuncia al benessere sociale che sublima nel benessere virtuale. Navigare nella rete per questi adolescenti diventa il loro scopo di vita e non possono farne più a meno. L’abuso nell’utilizzo delle informazioni disponibili in rete, infatti, può portare ad un sovraccarico cognitivo che satura il cervello, riducendo l’attenzione razionale. Contemporaneamente, il conseguente isolamento sociale sostiene il ricorso ad Internet per cercare occasioni di socializzazione virtuale creando la possibilità di sperimentare ruoli e parti del Sé altrimenti non sperimentabili nella vita reale. In questo modo cresce il numero di ore trascorso on-line, con il risultato che si può finire incollati ad una sedia e ad un monitor per giornate intere, rinunciando a salutari e “reali” esperienze di vita.
L’abuso di internet sarebbe determinato da un senso di vuoto, da un vissuto di solitudine e dalla difficoltà di investire la realtà off-line. Spesso si parte da una sensazione di vergogna e inadeguatezza per il proprio corpo, che porta anche a creare identità diverse da se stessi in rete. Su Internet si diventa aggressivi o trasgressivi, al contrario di quello che si è nella realtà, incanalando le emozioni represse che non si usano nella vita reale. Si costruiscono personaggi che hanno anche connotati fisici diversi da quelli della realtà. Ragazzi tanto silenziosi nel mondo reale, quanto disinibiti in quello virtuale. Ragazze che fotografano e postano in rete l’unica parte secondo loro accettabile del proprio corpo; ragazzi pacati e timidi dal vivo, diventano violenti quando entrano nel personaggio di un videogioco. In rete tutto sembra sotto controllo: ci si può scollegare quando si vuole, decidere con chi connettersi, gestire la comunicazione. C’è una forte sensazione di controllo che non c’è invece nella vita reale.
E spesso proprio dalla rete comincia la cura per i ritirati sociali che per definizione non vogliono incontrare nessuno, tantomeno uno psicologo stipendiato dai genitori. Non esiste un approccio univoco, spesso si parte dai genitori per arrivare ai figli anche dopo molti mesi.